giovedì 10 febbraio 2022

LE POESIE CHE HO VISSUTO TACENDO SUL TUO CORPO


Danze notturne#1, foto di Valeria Pierini

Le poesie che ho vissuto tacendo sul tuo corpo

mi chiederanno la loro voce un giorno, quando andrai.

Ma io non avrò più voce per ridirle allora. Perché tu eri abituata

a camminare scalza per le stanze, e poi ti rannicchiavi sul letto,

gomitolo di piume, seta e fiamma selvaggia. Incrociavi le mani

sui ginocchi, mettendo in mostra provocante

i piedi rosa impolverati. Devi ricordarmi così – dicevi;

ricordarmi così coi piedi sporchi; coi capelli

che mi coprono gli occhi – perché così ti vedo più profondamente. 

Dunque, come potrò più avere voce. 

La Poesia non ha mai camminato così

sotto i bianchissimi meli in fiore di nessun paradiso.


Ghiannis Ritsos

giovedì 3 febbraio 2022

TU PER ME SEI CREATURA TRISTE

 

Lichtenstein,''Il bacio''


Tu sei per me una creatura triste,
un fiore labile di poesia,
che, nell’istante stesso che lo godo
e tento inebriarmene,
sento fuggire lontano
tanto lontano,
per la miseria dell’anima mia,
la mia miseria triste.
Quando ti stringo pazzamente al cuore
e ti suggo la bocca,
a lungo, senza posa,
sono triste, bambina,
perché sento il mio cuore tanto stanco
di amarti cosí male.
Tu mi dài la tua bocca
e insieme ci sforziamo di godere
il nostro amore che sarà mai lieto
perché l’anima in noi è troppo stanca
dei sogni già sognati.
Ma sono io sono io il vile,
e tu sei tanto in alto
che, quando penso a te,
non mi resta che struggermi d’amore
per quel poco di gioia che mi dài,
non so se per capriccio o per pietà.
La tua bellezza è una bellezza triste
quale avrei mai osato di sognare,
ma, come tu mi hai detto, è solo un sogno.
Quando ti parlo le cose piú dolci
e ti stringo al mio cuore
e tu non pensi a me,
hai ragione, bambina:
io sono triste triste e tanto vile.
Ecco, tu sei per me
null’altro che una fragile illusione
dai grandi occhi di sogno,
che per un’ora mi si stringe al cuore
e mi ricolma tutto
di cose dolci, piene di rimpianto.
Cosí mi accade quando stancamente
mi struggo a infondere nei versi lievi
un mio spasimo triste.
Un fiore labile di poesia,
nulla di piú, mio amore.
Ma tu non sai, bambina,
e mai saprai ciò che mi fa soffrire.
Continuerò, piccolo fiore biondo,
che hai già tanto sofferto nella vita,
a contemplarti il viso che ti piange
anche quando sorride
– oh la dolcezza triste del tuo viso!
non saprai mai, bambina –
continuerò a adorare accanto a te
le tue piccole membra melodiose
che han la dolcezza della primavera
e son tanto struggenti e profumate
che io quasi impazzisco
al pensiero che un altro le amerà
stringendole al suo corpo.
Continuerò a adorarti,
e a baciarti e a soffrire,
finché tu un giorno mi dirai che tutto
dovrà essere finito.
E allora tu non sarai piú lontana
e non mi sentirò piú stanco il cuore,
ma urlerò dal dolore
e ribacerò in sogno
e mi stringerò al petto
l’illusione svanita.
E scriverò per te,
per il tuo ricordo straziante
pochi versi dolenti
che tu non leggerai piú.
Ma a me staranno atroci
inchiodati nel cuore
per sempre.


Cesare Pavese

martedì 1 febbraio 2022

PI GRECO

 





È degno di ammirazione il Pi greco  tre virgola uno quattro uno.

Anche tutte le sue cifre successive sono iniziali, cinque nove due, poiché non finisce mai.

Non si lascia abbracciare sei cinque tre cinque dallo sguardo,

 otto nove, dal calcolo, sette nove dall'immaginazione,

 e nemmeno tre due tre otto dallo scherzo,

ossia dal paragone quattro sei con qualsiasi cosa due sei quattro tre al mondo.

Il serpente più lungo della terra dopo vari metri si interrompe.

Lo stesso, anche se un po' dopo, fanno i serpenti delle fiabe.

Il corteo di cifre che compongono il Pi greco non si ferma sul bordo della pagina,

È capace di srotolarsi sul tavolo, nell'aria, attraverso il muro, la foglia, il nido, le nuvole,

diritto fino al cielo, per quanto è gonfio e senza fondo il cielo.

Quanto è corta la treccia della cometa, proprio un codino!

Com'è tenue il raggio della stella, che si curva a ogni spazio!

E invece qui due tre quindici trecentodiciannove il mio numero di telefono

il tuo numero di collo l'anno millenovecentosettantatré sesto piano

il numero degli inquilini sessantacinque centesimi la misura dei fianchi due dita

sciarada e cifra in cui vola e canta usignolo mio oppure si prega di mantenere la calma,

e anche la terra e il cielo passeranno,

ma non il Pi greco,

oh no, niente da fare,

esso sta lì con il suo cinque ancora passabile,

un otto niente male, un sette non ultimo,

incitando, ah, incitando

l'indolente eternità a durare.


Wislawa Szymbrosca